
NERF-SUPER-BLASTER
marzo/aprile 2020
“Lava-le-mani, lava-le-mani, lava-le-mani”, dice la cantilena.
Sei anni e gli arriva già quasi al petto.
Lo guarda dallo specchio, le lunga dita sulle sue esili spalle scoperte dalla canottiera con l’immagine di Skywalker, con il casco e la spada laser.
Il figlio ha iniziato a lavarsi di nuovo le mani, come faceva un anno fa. “Tanta acqua e tanto sapone”, gli diceva la mamma. “Così spariscono quei mostriciattoli”. E lui ubbidiva. Tre, quattro, anche cinque volte al giorno. Prima di pranzo e cena e tutte le volte che tornavano dal cortile, come oggi, o dalla strada, le rare volte che uscivano come se si trattasse di una missione segreta.
Dopo qualche giorno, era diventata un’abitudine e non c’era neanche bisogno che i genitori glielo chiedessero.
Beh. Pensa, mentre il bambino si sfrega le dita. Male non fa.
“Papà”, riprende mentre si asciuga nella spugna rossa, “Quando arrivano, andiamo subito fuori tutti e tre, vero?”
Subito non risponde.
Lancia un’occhiata al vecchio Casio F-91 W subacqueo al quarzo, al polso del figlio, lo stesso che aveva lui quando aveva la sua età e che durante il lungo periodo di arresti domiciliari ha trovato su internet e comprato per tutti e due.
“Allora?”
“Non sono ancora arrivati. Forse oggi non passano.”
Il bambino fa il broncio.
“No, dai” gli dice “non fare così.”
Il bambino stringe gli occhi. Una lacrima in un istante. Due. Tre, quattro. Come la pioggia che anticipa un temporale.
“Ma me lo avevi promesso.”
Certo. Certo. Pensa. Da una settimana, ogni volta che passa davanti al calendario attaccato sul frigorifero con le calamite dei viaggi di una vita fa, una fitta di adrenalina gli attraversa i gomiti, passa come una scarica tra i suoi tendini e raggiunge i polpastrelli. Ci vuole coraggio, là fuori.
Il bambino ha migliorato la scrittura, ma quella era una scritta troppo lunga, così le lettere in stampatello tendevano a rimpicciolirsi, mentre il bordo della pagina si avvicinava sempre di più, mentre scriveva sotto la data di oggi, 9 luglio 2021:
N E R F – S U P E R – B L A S T E R
“Andiamo a vedere un cartone di Guerre Stellari, ti va?”.
Il bambino non si muove.
“…dai, mentre aspettiamo.”
Lo segue sul divano con lo sguardo basso, strisciando i piedi.
“Che succede?”, chiede la moglie dal cucinino. “Perché piange?”
Le lancia un’occhiata. Alza le spalle, scuote la testa.
“Niente. Non piange. Lui è coraggioso. Non ha paura di niente”.
Si siede sul divano di fianco al figlio. Accende il televisore.
Le immagini sono ancora quelle del telegiornale delle tredici, quello che non gli ha fatto vedere.
Una serie di microfoni su un tavolo.
Sullo sfondo una porta chiusa in mezzo alle bandiere dell’ONU.
La scritta che in sovraimpressione scorre vicino alle ore 18.35 è la stessa che c’era a pranzo. E in un angolo dello schermo c’è una schiera carro armati e lanciamissili, allineati davanti alla Casa Bianca. Con i cannoni puntati verso l’alto.
“Hai visto papà? Hai visto?” scatta il bambino puntando i cannoni. “Anche loro sono pronti… E noi?”
Merda. Preme in fretta 4 e 3 per passare a Rai Yoyo.
E’ tardi. Quelli non arrivano mai la sera. Di solito è la mattina. Ah sì. Sempre la mattina. Organizzano i giri, caricano i furgoni ed escono. Già. Arrivano sempre la mattina.
C’è Guerre Stellari, il cartone preferito del bambino. Che però non sta guardando il televisore. Il suo sguardo è rivolto verso il frigorifero che divide la sala da cucinino. Il calendario.
N E R F – S U P E R – B L A S T E R
“Mamma, sul sito c’era scritto che li portano oggi. Arrivano. Li carichiamo e andiamo subito… a combatterli”.
La mamma guarda l’orologio, sta per dire qualcosa.
Lui le fa un gesto, come per dire “lascia stare, ne abbiamo già parlato”.
Poi chiude gli occhi.
Le immagini del cartone scompaiono dalla retina.
Adesso anche lì, dietro le palpebre chiuse, come su tutti i canali della TV, scorrono i caratteri cubitali:
DIVIETO DI ABBANDONO DELLE ABITAZIONI. CONFERENZA STAMPA ORE 19.00.
Si alza dal divano. Non manca molto. Apre la porta finestra del balcone.
Non il fruscio di una macchina. Non una voce. Non una sirena. La via è deserta. L’aria è pulita, immobile come una sentinella che non sa sta da che parte stare.
Massì. Tra poco lo sapremo. E i corrieri non verranno. Staranno a casa. Che senso ha lavorare. Non usciremo.
Sbircia verso il figlio. Guarda il cartone. Un battito di ciglia. Ora il bambino è voltato verso di lui. Lo fissa con un’espressione interrogativa.
Non si può uscire. Non si può uscire.
Riavvolge il nastro.
Il secondo degli anni ‘20 è stato annunciato in diretta televisiva in tutto il mondo.
Dove era notte, dove era giorno.
Presidenti, monarchi, dittatori di ogni stato, il Papa e il Dalai Lama avevano fatto lo stesso annuncio. Grigi in volto. Con i capelli spettinati. Alcuni incravattati, altri stropicciati.
They are arrived. Ellos llegaron. Ils sont arrivés. 他们到了. они прибыли. Sono arrivati.
State-a-casa. In tutte le salse del mondo, dalla wasabi a quella al curry, dalla senape al guacamole.
Poi le stesse identiche scene di un anno fa.
Corse ai supermercati. “No-no-no! Non serve, resteranno aperti. Non mancherà il lievito e tutti i prezzi resteranno uguali!” ripeteva il Premier. Eppure gli scaffali presto sono vuoti.
Andrà-tutto-bene-andrà-di-nuovo-tutto-bene. I cartelli con l’arcobaleno e i bambini contenti. Le scuole di nuovo chiuse.
Ore e ore in casa. Questa volta con camionette dell’esercito per le strade deserte, a fare le corse insieme ai furgoni dei corrieri della spesa.
“Papà facciamo di nuovo il tabellone con trentadue squadre, andata e ritorno, e la palla di spugna?”. “Sì va bene”, tanto le cornici delle foto e dei quadri ormai sono tutte rotte, dopo tutte le pallonate.
“Mamma, giochiamo con i Lego? Costruiamo il negozio del parrucchiere di Fabrizio, gli facciamo di nuovo sbattere la testa, dimenticare che quello è il suo lavoro e lo facciamo diventare un venditore di hot dog?”.
E così via.
Passavano i giorni.
C’erano di nuovo i canti dal balcone ed erano ricomparsi i tricolori. Anche di più di un anno fa.
Ma la televisione non diceva cosa succedeva.
Ai talk show le stesse facce ripetevano de-du-du-du-de-da-da-da.
L’esperto dell’Università di Chicago minacciava di menare il professore di Pisa che sosteneva che quelli non esistono.
C’erano i negazionisti, quelli che da tempo sostenevano che la terra è piatta, quelli che giuravano e spergiurano che il morbo di un anno fa lo avevano spedito proprio quelli che erano arrivati ora, perché faceva parte del loro piano di distruzione. Prima indebolire, poi annientare. E quelli che dicevano che era un’invenzione della Cina.
Bla, bla, bla. Sono buoni, brutti e con i piedi piatti. Anche loro vorranno le auto elettriche. E magari senza il pedale della frizione che non serve proprio a niente. Bla, bla, bla.
E di notte, la prima settimana, E.T. L’Extraterreste, Incontri ravvicinati del terzo tipo.
E alla radio David Bowie cantava di un uomo delle stelle che aspettava in cielo, diceva che avrebbe voluto venire a incontrarci, ma pensava che avrebbe potuto impressionarci.
La canzone dei Radiohead che parlava del tipo che si lamenta di passare la vita con lo sguardo basso, costretto a fare attenzione alle crepe nel marciapiede, e sogna di essere rapito dai marziani, di guardare con il loro il mondo dall’alto, per poi poter tornare tra gli amici, mostrare le stelle e insegnare loro il senso della vita. E non gli importa di essere considerato un pazzo.
E sulle chat maschili spopolavano le vignette con aliene nude con giganteschi seni verdi.
Poi sempre meno canti e bandiere via via più scolorite dai balconi.
E dalla quarta settimana di chiusura, il cambiamento. Lo shock.
Perché il Presidente degli USA si era lasciato scappare che “sono tutt’altro che buoni, ma vinceremo il Vietnam”.
E uno scienziato dello staff del presidente aveva rivelato che erano piccolissimi.
Microscopici.
Praticamente invisibili.
Era per quello che nessuno vedeva. Ma erano così cattivi che potevano insinuarsi nel respiro, bucare le mascherine, annullare la razza umana in poche settimane.
Il silenzio era interrotto solo dai furgoni delle consegne a domicilio. Dalle sirene della polizia che strillavano sui corsi per far rispettare il coprifuoco. Dalla voce compassata dei commentatori.
Alien, la serie di Visitors. E più volte, Ultimatum alla Terra.
Niente più battute sulle chat e solo qualche telefonata di circostanza.
E un incontro fissato con i leader mondiali. Lunedì 9 luglio 2021.
Proprio lo stesso che è segnato sul calendario.
E anche a casa, un giorno dopo le rilevazioni del Presidente, la novità.
“Papà” ha detto di punto in bianco una sera a cena il figlio, rompendo il silenzio che regnava da qualche minuto. “So io come fare, per combatterli”.
I genitori hanno alzato la testa dal piatto di minestra.
“è facile.”
“Ah sì?” ha replicato lui.
“Quelle… Quelle dell’estate in Sardegna. Quelle che con l’acqua del mare… hanno smesso subito di funzionare… Con l’acqua giusta… Quella pulita… Con il sapone! Sì con il sapone!”.
I genitori lo guardavano perplessi.
“…Sì. Quelle. Oppure… ancora meglio. Papà” ha detto alzandosi in piedi “guardiamo sul computer.”
E lui lo ha assecondato.
Perché la cosa più importante era che in quella casa qualcuno fosse felice.
E poi che cacchio… anche lui quando era un bambino aveva sempre sognato di comprarne una.
Così aveva fatto click.
Ne avevano prese tre, una ciascuno. E padre e figlio si erano dati un cinque, sotto lo sguardo della madre con un sorriso sottile disegnato sul volto.
Poi il bambino aveva preso un pennarello di quelli grandi e aveva scritto sul calendario:
N E R F – S U P E R – B L A S T E R
E quasi tutti i giorni, prima di andare a dormire, quando arrivava il momento del bacio della buonanotte, il figlio gli chiedeva:
“Me lo giuri che appena arrivano usciamo subito per andare a combatterli?”
Lui annuiva.
“Dove andiamo?”
Il figlio rimaneva in silenzio.
“Ci devo pensare”, diceva.
Finché un giorno ha detto:
“So io dove, papà. Ti porto io in un posto. E’ lì che li possiamo sconfiggere. Davvero eh”.
Riapre gli occhi.
Il figlio ha cambiato canale.
DIVIETO DI ABBANDONO DELLE ABITAZIONI. CONFERENZA STAMPA ORE 19.00.
Sul Casio le ore 18.42.
Pochi minuti.
Poi una vibrazione spezza il silenzio.
Il figlio scatta in piedi sul divano.
“Sì! Eccoli!” grida. “Eccoli!”,
Il citofono.
La madre guarda il padre.
Il padre resta immobile. Si muove al rallentatore, si avvicina alla porta.
Alza la cornetta del citofono. Biascica “chi è”.
“Corriere!” urla una voce squillante, che si sente dalla cornetta, che rimbalza dalla strada, rimbomba tra le parabole sui tetti, tra i palazzi con tutti i televisori accesi, senza volume. “Consegna urgente!”.
“Scendo”, risponde il padre.
Gira la chiave nella serratura.
“Vado?” chiede prima di uscire.
La moglie alza le spalle. Il figlio esclama “siiiiiiiiiiiiiI!”. Si mette a saltare sul divano.
Poi scende le scale, un piano, due piani, tre piani. Sale le scale. Un piano, due piani, tre piani.
Apre la porta.
Posa lo scatolone.
Un metro e venti centimetri di lunghezza. Cinquanta centimetri di larghezza. E sopra il cartone la scritta a caratteri cubitali:
N E R F – S U P E R – B L A S T E R.
Il figlio ha già in mano le forbici grandi.
Lui lancia un’occhiata al Casio F-91 W subacqueo al quarzo.
Mancano quindici minuti alla conferenza stampa.
Il figlio ha divelto il cartone.
Ha strappato via tutto il pluriball.
Ha staccato i pezzi di scotch dei sacchetti. Ha tirato fuori la prima. Poi la seconda e la terza, sotto lo sguardo dei genitori.
Non ne ho mai viste così grandi. Pensa.
“Fighe! Fighe!” ripete il bambino.
Lo guardano con un mezzo sorriso stampato sulle facce.
“Allora?” dice poi il bambino. “Ci prepariamo? Andiamo a combattere?”.
“Beh…” risponde la mamma indicando il televisore.
Sul volto del bimbo l’espressione cambia in un istante, come quando una nuvola copre il sole e dalla luce gialla di giugno.
Posa una mano sulla spalla della moglie.
“Gliel’abbiamo promesso”.
Lei annuisce.
“Certo. Allora vestiamoci”. Stringe le labbra. “Andiamo. Usciamo. Non cambia nulla”.
Prende il telecomando. Spegne la tele.
“Vai, vai a caricare”, dice al figlio.
Il bambino scatta in piedi. Trascina lo scatolone verso il bagno.
“Mi aiuti, papà, mentre la mamma si prepara?”.
Lo segue.
Scorre l’acqua dal lavandino. Dal bidet. Dal doccino.
Alle ore 18.52 sono tutti e tre davanti alla porta dell’ingresso con le infradito ai piedi.
Per strada silenzio. Nessuno sul lungo fiume. Anche le signore con i cani sono scomparse.
Sono tutti davanti ai televisori.
Il caldo.
Il sole ha picchiato tutto il giorno sulle lamiere delle auto e ha sciolto il catrame sull’asfalto.
Alza lo sguardo verso le finestre aperte, con i tricolori sbiaditi appesi.
Cacchio, quante ce ne sono. Non ne ho mai viste così tante… Già. Pensa. Che strano. Neanche quella sera… Che caso. Era il 9 luglio, proprio il 9 luglio di quindici anni fa. Italia-Francia. Anche quel giorno… di sicuro non c’era nessuno per strada e tutti erano appiccicati alla televisione in attesa. Fino a quando Fabio Grosso non ha pestato per l’ultima volta l’erba vicino al dischetto del rigore…
Poi si volta verso il figlio e la moglie che camminano al suo fianco.
“Dove andiamo?”.
“Sul ponte, sul ponte, papà”.
“Va bene, giusto. Mi pare il posto migliore”.
è vicino, bastano tre minuti e sono in mezzo al ponte pedonale sul fiume.
“E ora?”
Il figlio alza le spalle. Mette una mano sulla fronte, si guarda intorno.
“Beh?” dice ai genitori. “Combattiamo, no? Spariamo!”.
I tre imbracciano le N E R F – S U P E R-BLASTER.
Un attimo dopo tre getti d’acqua e sapone partono come schegge verso l’alto, si allargano a raggiera, diventando vapore acqueo o bolle di sapone che si sciolgono sotto il sole, per diventare una pioggerellina che si espande.
“Beccatevi questa, brutti bastardi marziani!” urla il padre pompando sulla blaster.
Il figlio ride a crepapelle.
“Beccatevela!” urla. “Beccatevela”.
La madre guarda il marito perplessa, anche lei con il dito sul grilletto della sua mitraglia blaster. Ma poi si lascia andare.
“Acqua e sapone! Sporcaccioni!” urla.
Dopo qualche secondo le pistole ad acqua sono scariche.
Nell’aria le gocce sono sparite. Le bolle di sapone hanno preso quota e sono esplose in microscopiche particelle.
Quando anche l’ultima bolla è vapore, i tre si guardano.
“Noi tre…”, dice rompendo il silenzio.
Il figlio lo interrompe.
“Li abbiamo distrutti, papà, vero?”.
Subito non risponde.
Mette una mano sulla fronte per guardare verso il sole che è basso.
“…Lo scopriremo presto. So solo che noi tre… quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto”.
Abbassano le blaster. Abbraccia la moglie e il figlio. Li stringono forte.
“Me la tieni tu, papà?”.
Lui se la mette a tracolla insieme alla sua.
Prende la mano del figlio che con l’altra mano stringe quella della mamma.
“Torniamo a casa?” dice.
Qualche secondo dopo i tre sono di nuovo davanti al condominio. Non parlano.
Il padre infila la chiave nella serratura.
Sta per girare.
Quando il silenzio va in frantumi.
Un boato.
Un urlo dalle finestre aperte, all’improvviso tutti che si affacciano dalle finestre o che escono sui balconi. Con le braccia al cielo.
Il bambino guarda mamma e papà con la bocca spalancata. Indica le Nerf Super Blaster.
“Acqua e sapone eh? Io ve l’avevo detto! Ve l’avevo detto!”
Lui si guarda intorno. Le facce dei vicini. Uno del condominio di fronte che sventola la bandiera. Anche i colombi che sono sempre appollaiati sul filo della luce si sono svegliati e sbattono le ali nel cielo.
Sbircia nella televisione del signore del primo piano, sintonizzata su Rai Uno e vede la scritta che lampeggia a caratteri cubitali:
They leave. Ils partent. Se fueron. Они ушли. 他们离开. Se ne vanno.